Dalla strage di Capaci fino alla sua morte, lavorando sempre con l’obiettivo della legalità e della giustizia.

Arturo Di Sabato

Paolo Emanuele Borsellino, nacque a Palermo il 19 gennaio 1940 nel quartiere popolare Kalsa, dove conobbe Giovanni Falcone, con il quale instaurò una solida amicizia. Dopo le scuole medie, si iscrisse al liceo classico di Palermo e l’11 settembre 1958 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza laureandosi  con 110 e lode all’età di soli 22 anni con una tesi su “Il fine dell’azione delittuosa”.

Nel 1963, entrò giovanissimo in magistratura come uditore giudiziario e poi fu assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. 

Il 23 dicembre 1968 sposò Agnese Piraino Leto, dalla quale ebbe tre figli: Lucia, Manfredi, e Fiammetta. Fu nominato Pretore prima a Mazara del Vallo e poi a Monreale dove conobbe il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile che fu assassinato da Cosa Nostra il 4 maggio 1980. Dopo questa triste vicenda, fu assegnata la scorta al giudice che si occupò delle indagini sull’omicidio del capitano Basile che durarono circa un anno, anche se gli esecutori del delitto furono assolti.

Rocco Chinnici istituì presso l’Ufficio istruzione il “pool antimafia”, un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso: tra questi Borsellino, Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. In questo modo, diminuiva il rischio che venissero assassinati da Cosa Nostra, ma il 29 luglio 1983, Chinnici rimase ucciso nell’esplosione di un’autobomba insieme a due agenti di scorta e al portiere del suo condominio. Pochi mesi dopo giunse a Palermo da Firenze il giudice Antonino Caponetto.

Borsellino continuò intanto a seguire le indagini sui mafiosi di Corso dei Mille, mentre Falcone incominciò a raccogliere le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Salvatore Contorno e Tommaso Buscetta detto Masino. L’attendibilità venne confermata dalle indagini del pool il 29 settembre 1984, la famosa “Notte di San Michele” con 366 ordini di cattura e quelle di Contorno con altri 127.

Per ragioni di sicurezza, nell’estate 1985, Falcone e Borsellino furono trasferiti insieme alle loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara per scrivere l’ordinanza di 8.000 pagine che rinviava a giudizio 475 indagati.

La beffa, fu che per quel periodo, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria richiese ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso. Borsellino fece notare all’amico che dovevano saldare con urgenza il conto. Falcone, con sarcasmo fece una battuta: “Non si sa mai Paoluzzo, dovessero farci fuori”.

Intanto il maxiprocesso che cominciò il 10 febbraio 1986, presso l’aula bunker appositamente costruita nel carcere dell’Ucciardone di Palermo si concluse il 16 dicembre 1987 con 342 condanne, tra cui 19 ergastoli.

Il 19 dicembre 1986, Borsellino fu nominato Procuratore della Repubblica a Marsala.Nel 1987, alla conclusione del maxiprocesso, il giudice Caponetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si attendevano che al suo posto fosse nominato Falcone, ma il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) fu del parere contrario e  il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli tanto che sorse il timore di una dissoluzione del pool. Borsellino contestò apertamente la mancata nomina di Falcone, con il rischio di un provvedimento disciplinare.

Falcone, fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione degli affari penali e da lì premeva per l’istituzione della Superprocura.

Nel settembre 1991, Cosa Nostra aveva già deciso di uccidere Borsellino, e a rivelarlo fu il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara che gli disse: “Lei deve sapere che io ero ben felice di ammazzarla“. Poi lo abbracciò e Borsellino commentò: “Nella mia vita tutto potevo immaginare, tranne che un uomo d’onore mi abbracciasse“. 

Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e nel marzo 1992 vi ritornò come procuratore aggiunto.

Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull’autostrada A29 all’altezza di Capaci, persero la vita il giudice Falcone, la moglie, Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta: Antonio Montinaro (capo scorta), Rocco Di Cillo e Vito Schifani, gli altri agenti rimasero feriti.Falcone morì un’ora dopo l’attentato fra le braccia dell’amico  in ospedale. In un intervista a Lamberto Sposini che gli chiese se si sentisse un sopravvissuto, Borsellino rispose: «Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana. Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”».

I 57 giorni che separarono la strage di Capaci da quella di via d’Amelio furono i più difficili per Borsellino, poiché fu duramente colpito dalla morte dell’amico e collega. Nonostante fosse consapevole di essere il prossimo obiettivo di Cosa nostra, continuò a lavorare con intensità sulla Trattativa Stato-Mafia, pur essendo ostacolato dal capo della Procura palermitana Pietro Giammanco, che gli nascose anche il contenuto di un’informativa dei carabinieri del ROS che segnalava il pericolo di un imminente attentato nei suoi confronti. Borsellino apprese casualmente dell’informativa dall’allora Ministro della Difesa Salvo Andò. Ma lui non aveva paura di morire: ”Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie e i figli, Borsellino, si recò con la scorta in via Mariano D’Amelio, dove vivevano sua madre e sua sorella Rita.

Alle 16:58 una Fiat 126 rossa rubata, imbottita di 90 chilogrammi di tritolo (telecomandati a distanza), che era parcheggiata sotto l’abitazione della madre, esplose uccidendo il giudice e i cinque agenti della scorta Agostino Catalano (caposcorta), Claudio Traina, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli ed Emanuela Loi la prima poliziotta uccisa dalla mafia.

L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonio Vullo, perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.

Il 24 luglio circa 10. 000 persone parteciparono ai funerali privati di Borsellino: la moglie Agnese, infatti, accusò il governo di non aver saputo proteggere il marito, e rifiutò i funerali di Stato optando per una cerimonia privata senza la presenza dei politici, celebrati nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, dove il giudice si recava per la Santa Messa.

Fu presente anche il giudice Antonino Caponnetto che intervistato subito dopo la strage disse sconfortato: “È finito tutto, è finito tutto”.

La salma del giudice Borsellino riposa nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo. 

Sono ancora tanti i misteri della strage di Via D’Amelio, soprattutto quello dell’Agenda Rossa del giudice che era nella sua borsa. Quell’agenda dalla quale Borsellino non si staccava mai e scriveva tutto, ogni appunto, annotazione per organizzare il lavoro; la portava sempre con se, sia in macchina, in ufficio, a casa e alla Villa al mare.  A quanto pare un militare o qualcuno dei servizi segreti presente sul luogo della strage, l’abbia prelevata su mandato di un “pezzo grosso”.

L’omicidio sembra sia stato ordinato da uno dei Fratelli Graviano, che furono i mandanti dell’omicidio del Beato don Giuseppe Puglisi.

Alla memoria del magistrato italiano furono intitolate numerose scuole, facoltà, vie, piazze e associazioni, nonché (insieme all’amico e collega) l’aeroporto internazionale Falcone e “Borsellino” di Palermo (ex “Punta Raisi” ).

È stato bello che quest’anno, Paolo Borsellino è comparso in una delle tracce a scelta degli esami di maturità: “Paolo Borsellino – I giovani sono la mia speranza”.  Lui citava sempre questa frase, sottolineando il ruolo cruciale dei giovani nella lotta alla mafia e nel cambiamento sociale.

La reazione dei figli non si è fatta attendere: “Apprendiamo con commozione che tra le tracce della prova scritta di italiano per la maturità di quest’anno, vi è un riferimento all’attenzione e alla fiducia che nostro padre riponeva nei giovani”.

Un detenuto di 36 anni del carcere di massima sicurezza di Bicocca di Catania che ha sostenuto l’esame di maturità (diplomandosi con il punteggio di 100 /100) all’Istituto Alberghiero ha svolto il tema scegliendo la traccia del giudice antimafia, Questa è speranza! Borsellino e Falcone non sono morti: le loro idee, camminano sulle nostre gambe!