Il giovane magistrato assassinato dalla Mafia nell’adempimento del suo dovere e Beatificato dalla Chiesa, come martire in odium fidei (in odio alla fede).

Arturo Di Sabato

A seguito della celebrazione della XXX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafia e della Giornata della legalità, si è ritenuto opportuno ricordare un altro giovane giudice ucciso dalla mafia: Rosario Angelo Livatino, per tutti il giudice ragazzino morto a soli trentotto anni.

Rosario Angelo Livatino, nacque a Canicattì (AG) il 3 ottobre 1952, figlio di Vincenzo e Rosalia Corbo. Conseguita la maturità presso il liceo classico, s’impegnò con viva fede nell’Azione Cattolica e nel 1971, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Palermo.

Tra il 1977 e il 1978, prestò servizio come vicedirettore presso l’Ufficio del Registro di Agrigento e poi fu assegnato presso il Tribunale ordinario di Caltanissetta. Fu trasferito al tribunale di Agrigento come sostituto procuratore e ricoprì la carica fino al 1989. Per tutti fu il giudice ragazzino!

Come sostituto procuratore della Repubblica si occupò fin dagli anni ottanta di indagare non soltanto su fatti di criminalità mafiosa ma anche di tangenti e corruzione. Aprì un’indagine sulle cooperative giovanili di Porto Empedocle, in particolare sui criteri con cui erano finanziate dalla Regione. 

Nella sua attività si occupò di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli siciliana, utilizzando tra i primi lo strumento della confisca dei beni ai mafiosi.

Rosario, fu un uomo di fede: si recava sempre a Messa, sostando in preghiera, per invocare la protezione della Vergine su di se, la sua famiglia e anche sulle scelte del suo lavoro. Affermò sempre che il compito del magistrato è quello di decidere e di scegliere e di farlo bene in base alla fede e alle proprie azioni credibili senza aspettarsi nulla in cambio. Ripetè spesso:«Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili».

Con alcuni colleghi si occupò della prima grossa indagine sulla mafia agrigentina, la quale sarebbe poi sfociata nel maxiprocesso contro i mafiosi di Agrigento che si tenne presso l’aula bunker di Villaseta (ex palestra sportiva) nel 1987 e si concluse con quaranta condanne. 

Nell’ambito di tale inchiesta, Livatino si trovò a interrogare diversi politici dell’agrigentino sui loro rapporti con esponenti mafiosi locali.

Il 21 settembre 1990, mentre si recò in tribunale senza scorta (per sua volontà), a bordo della sua vettura, una vecchia Ford Fiesta  color amaranto, fu speronato dall’auto dei killer sulla statale 640  Caltanissetta – Agrigento (detta degli scrittori) in corrispondenza del viadotto Gasena (in territorio di Agrigento), per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa nostra. 

Tentò disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo a una spalla, fu raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola.

Tra i primi a giungere sul luogo del delitto: il presidente del Tribunale di Agrigento, il procuratore e i suoi colleghi Roberto Saieva e Fabio Salamone. Invece, da Palermo, arrivarono il procuratore Pietro Giammanco e i procuratori aggiunti Giovanni Falcone ed Ellio Spallitta, mentre da Marsala, il procuratore Paolo Borsellino.

Nel 1993 il Vescovo della diocesi di Agrigento Mons. Carmelo Ferraro incaricò la professoressa Ida Abate (insegnante di Rosario), di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione.

Il 21 settembre 2011,  l’ Arcivescovo di Agrigento Mons. Francesco Montenegro aprì ufficialmente, il processo diocesano di beatificazione nella chiesa di San Domenico di Canicattì. 

Durante la fase diocesana, 45 persone testimoniarono sulla vita e la santità di Rosario Livatino, e tra questi anche Gaetano Puzzangaro, uno dei quattro killer mafiosi del giudice, intervistato in carcere dal giornalista per il settimanale Panorama  nel dicembre 2017 e per TGcom24  nel settembre del 2019.

Il 6 settembre 2018 fu annunciata la chiusura del processo diocesano, che è stata celebrata il 3 ottobre con una Messa solenne nella Chiesa di Sant’Alfonso ad Agrigento, presieduta dal cardinale Montenegro. 

Il 21 dicembre 2020 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto riguardante il martirio in odium fidei (in odio alla fede), aprendo la strada alla sua beatificazione. Nel decreto si fa riferimento alla circostanza, già emersa nel processo contro gli assassini del giudice, Giuseppe Di Caro, il capo della “famiglia” di Canicattì che abitava nello stesso palazzo dei Livatino e definiva con spregio il giudice “santocchio” per via della sua frequentazione giornaliera in chiesa.

La cerimonia di beatificazione è stata presieduta dal Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il 9 maggio 2021 nella Cattedrale di Agrigento, nell’anniversario della visita apostolica di San Giovanni Paolo II nella valle dei Templi.  La sua ricorrenza si celebra il 29 ottobre.

La camicia che Livatino (primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica) portava il giorno della morte, è rimasta intrisa di sangue: ora è divenuta una reliquia.

Per volere dell’arcidiocesi di Agrigento e del comune nativo, il 15 marzo 2025 le sue spoglie mortali sono state traslate dalla cappella di famiglia del cimitero comunale alla chiesa di Santa Chiara in Canicattì. Il suo corpo incorrotto rivestito con la toga è stato esposto alla venerazione dei fedeli.